#Canto alla vita
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I sing to life Canto alla vita
To its beauty Alla sua bellezza
I sing to life Canto alla vita
I sing sweet and full Canto a dolce e piena
To this journey of ours A questo nostro viaggio
Which still chains us Che ancora ci incatena
-Josh Groban, "Canto Alla Vita"
Photo: Taormina, Sicily, Italy
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"Il respiro della terra: una poesia inedita ispirata a Pablo Neruda". Recensione di Alessandria today
"Un tributo al grande poeta cileno che ha saputo celebrare la vita e la natura con versi immortali."
“Un tributo al grande poeta cileno che ha saputo celebrare la vita e la natura con versi immortali.” Poesia: “L’eco del vento” Il vento chiama il mio nome,sussurra tra le radici degli alberie accarezza le onde del mare.Porta con sé il profumo della terra,il respiro caldo del soleche si posa sulle colline. Oh, terra mia,culla del mio canto,sei la madre che nutrei miei versi,sei il silenzio che…
#Alessandria today#Alessandria Today poesia#Amore per la natura#bellezza nei dettagli#Canto alla vita#celebrazione della terra#connubio uomo e natura#Eredità Poetica#Google News#grandi poeti del Novecento#Introspezione poetica#italianewsmedia.com#L’eco del vento#lirica cilena#natura e amore#omaggio a Neruda#omaggio letterario#Pablo Neruda#Pablo Neruda biografia#paesaggi dell’anima#Pier Carlo Lava#poesia contemporanea#poesia della vita#poesia di Alessandria today#Poesia e anima#poesia e infinito#poesia e terra#poesia emozionale#poesia evocativa#poesia inedita
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I NEED YOU ACACIUS
I make daily Lockscreens and take requests on my instagram @xxhypersomnia
All edits watermarked 💧
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Omelia di don Andrea Gallo al funerale di Fabrizio De Andrè
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.
Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,
prete da marciapiede.
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Buon 2025 a tutti voi🥂🥂🥂🍾💥
Vi auguro sogni a non finire
e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro il canto degli uccelli al risveglio
e le risate dei bambini.
Vi auguro di rispettare le differenze degli altri perché il merito e il valore di
ognuno spesso è nascosto.
Vi auguro di resistere all’affondamento,
all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
Vi auguro di non rinunciare mai alla ricerca, all’avventura, alla vita,
all’amore,
perché la vita è una magnifica avventura e niente e nessuno può farci
rinunciare ad essa, senza intraprendere una dura battaglia.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi, fieri di esserlo e felici, perché la
felicità è il nostro vero destino.
Brel
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IL 25 Gennaio del 1939 nasce a Milano Giorgio Gaber.
Non insegnate ai bambini
Non insegnate la vostra morale
È così stanca e malata
Potrebbe far male
Forse una grave imprudenza
È lasciarli in balia
Di una falsa coscienza
Non elogiate il pensiero
Che è sempre più raro
Non indicate per loro
Una via conosciuta
Ma se proprio volete
Insegnate soltanto
La magia della vita
Giro giro tondo cambia il mondo
Non insegnate ai bambini
Non divulgate illusioni sociali
Non gli riempite il futuro
Di vecchi ideali
L’unica cosa sicura
È tenerli lontano
Dalla nostra cultura
Non esaltate il talento
Che è sempre più spento
Non li avviate al bel canto
Al teatro alla danza
Ma se proprio volete
Raccontategli il sogno
Di un’antica speranza
Non insegnate ai bambini
Ma coltivate voi stessi
Il cuore e la mente
Stategli sempre vicini
Date fiducia all’amore
Il resto è niente
Giro giro tondo cambia il mondo
Giorgio Gaber
Faber Nostrum
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Nel silenzio sommesso delle nostre anime, dimora un costante timore, quel velato pudore di essere d'ostacolo al prossimo, di rivelare troppo delle profondità celate nel cuore. Esitiamo, noi, custodi di fragili speranze e sogni spezzati, timorosi che la nostra presenza possa turbare la quiete altrui. Come equilibristi su un filo sottile, misuriamo ogni parola, ogni gesto, per non infrangere l'armonia delicata che ci circonda. È un tratto distintivo di noi, esseri incantevoli ma segnati dalle tempeste del passato, portare sulle spalle il peso di cicatrici invisibili. Come antiche rovine intrise di storia, custodiamo storie di amori e perdite, di gioie fugaci e dolori sussurrati al vento notturno. Ogni emozione vissuta si è impressa nel profondo, scolpendo l'anima con solchi di memoria e saggezza. Eppure, in questa nostra ritrosia, vi è una bellezza rara, un fascino che risplende come la luna tra le nubi cangianti. Siamo creature di profonda sensibilità, cuori ardenti nascosti dietro veli di discrezione. Desideri mai confessati e passioni sopite animano il fuoco interiore che ci mantiene vivi, alimentando pensieri e sogni che danzano al crepitio delle emozioni. Se solo avessimo l'ardire di abbattere le barriere erette a protezione dell'animo, di lasciar fluire liberamente l'essenza unica che ci contraddistingue, forse scopriremmo che il mondo attende il nostro canto segreto. Poiché nell'intimo di ogni esitazione risiede la potenza di un cuore che ha conosciuto l'amore profondo e la sofferenza più intensa, e che anela ancora a toccare le corde vibranti dell'esistenza. Ogni battito è un richiamo all'autenticità, un invito a vivere senza timore di mostrarsi per ciò che si è realmente. Così procediamo, viandanti tra sogno e realtà, portando con noi la luce indomita della speranza. E nel dolce conflitto tra il desiderio di emergere e la paura di esporsi, troviamo la nostra vera essenza, quella di anime belle, forse ferite, ma infinitamente capaci di emozionare e di amare con profondità sconfinata. È nel coraggio di abbracciare le nostre vulnerabilità che risiede la forza più grande, quella che ci permette di tessere legami autentici e duraturi. Perché è nella condivisione delle nostre profondità che la vita acquista significato, e le cicatrici del passato si trasformano in segni di rinascita e resilienza. Siamo il riflesso di esperienze vissute intensamente, e ogni istante diviene prezioso quando abbracciamo senza riserve la nostra vera natura. In questo viaggio, impariamo che non vi è bellezza più grande che essere fedeli a se stessi, permettendo alla propria luce interiore di brillare nel mondo. E così, anche se la costante paura di disturbare e di esporsi troppo ci accompagna, scopriamo che attraverso l'apertura del cuore possiamo trovare connessione e comprensione. E in questa scoperta, l'anima si eleva, libera dai timori, pronta a vivere appieno la sinfonia delle emozioni che rendono unica la nostra esistenza.
Empito
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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A proposito del post precedente sul CANCELLARE LE MEMORIE PER CANCELLARE I POPOLI.
(Pochi forse sanno che il coso del Mameli è ufficialmente l'inno italiano dal dicembre 2017. Quindi altro che mattarelle, per cambiare il testo mi sa si deve cambiare la Costituz chiubbella do'monno).
Cmq., cambiare "Siam pronti alla Morte" con "Siam pronti alla Vita": a parte chevorrdì?, mica sarà un subdolo attacco alla legge 194 sull'abborto, neh?
E ri-cmq., come la vogliamo mettere con tutto il resto del testo di un inno comunque abbastanza cheap zum-zum, adatto alle nazionali sportive? Chiediamo a Mahmoud Fedez o Eloise di metterci mano?
Già il titolo: Il Canto degli Italiani - divenga ad es. "Il Canto Accogliente ed Inclusivo". Quanto al testo:
«Fratelli Inclusivi, l'Accoglienza s'è desta, dallo scafo dell'Ong s'è mossa la festa.
Dov'è il postofisso?! Le porga il redditodicittadinanza, ché schiava di Magistratura Democratica Prodi e Draghi con Napolitano la abusò, yeah.»
(prima strofa lirica a mo' Bocelli, seconda trappata).
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Potente il canto. La poesia di Miranda Ranalli celebra l’amore, la fede e il dono della vita. Recensione di Alessandria today
Con "Potente il canto", Miranda Ranalli ci conduce in un viaggio poetico e spirituale tra le emozioni del periodo dell’Avvento, l’attesa del Natale e la celebrazione della vita come un dono prezioso.
Con “Potente il canto”, Miranda Ranalli ci conduce in un viaggio poetico e spirituale tra le emozioni del periodo dell’Avvento, l’attesa del Natale e la celebrazione della vita come un dono prezioso. La poesia, ambientata in una Roma ancora assonnata, diventa un inno alla speranza, all’amore e alla capacità dell’essere umano di donare e condividere. Analisi della poesia La poesia si apre con…
#Alessandria today#Amore#attesa del Natale#Avvento#bellezza quotidiana#canto libero#celebrazione della vita#connessione con il divino#cultura e fede#Cuppolone#donare#Fede#forza della vita#forza dell’amore#Forza Interiore#generosità#Google News#Inno alla Vita#italianewsmedia.com#metafore poetiche#Miranda Ranalli#Natale#Ora et labora#Pier Carlo Lava#Poesia#poesia contemporanea#poesia d’autore#poesia evocativa#poesia ispiratrice#poesia italiana
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"Sei pesante"
Pesante vuol dire che ha peso ed è una cosa che si oppone a leggero. Io sono pesante è vero, ma in compenso so benissimo cosa sia la leggerezza. È solo che amo soprattutto il peso. Amo dare peso alle cose che faccio, alle parole che dico, alle persone che incontro o che arrivano nella mia vita. Amo dare peso a tutto ciò che ricevo, nel bene e nel male.
"Alla leggera" bevo un calice di prosecco, vado ad un concerto o canto mentre sono in bici. Alla leggera mi siedo in riva al mare o abbasso il finestrino dell'auto per godermi il vento con la mano fuori. Alla leggera si possono fare milioni di cose, ma che i leggeri stiano con i leggeri e i pesanti con quelli come me.
Claudia Venuti scelta da https://www.tumblr.com/volodiunacapinera
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"Canto di Natale" ("A Christmas Carol"), pubblicato per la prima volta nel 1843, è una delle opere più celebri di Charles Dickens,. Questo racconto breve ha avuto un impatto duraturo sulla cultura natalizia, diventando una lettura imprescindibile durante le festività (...e non solo). Dickens utilizza la sua narrazione per esplorare temi di redenzione, generosità e la vera essenza del Natale.
La storia segue Ebenezer Scrooge, un vecchio avaro che disprezza il Natale e tutto ciò che rappresenta. La sua vita cambia radicalmente quando viene visitato da tre fantasmi la vigilia di Natale. Il Fantasma del Natale Passato lo riporta ai momenti chiave della sua giovinezza, mostrandogli come le sue scelte lo abbiano portato a diventare l'uomo solitario che è. Il Fantasma del Natale Presente gli mostra la vita delle persone che lo circondano, compreso il suo impiegato Bob Cratchit e la sua famiglia, che nonostante la povertà, celebrano il Natale con gioia e amore. Infine, il Fantasma del Natale Futuro gli presenta una visione inquietante della sua morte solitaria e della sua eredità dimenticata.
Il tema centrale del racconto è la possibilità di cambiamento e redenzione. Scrooge, inizialmente un personaggio negativo, ha l'opportunità di riflettere sulle sue azioni e di trasformarsi in una persona migliore. Dickens sottolinea l'importanza della generosità e della comunità. La capacità di Scrooge di cambiare e abbracciare il Natale rappresenta una celebrazione dei valori umani più profondi. L'opera, inoltre, offre una critica alla società vittoriana, evidenziando le ingiustizie sociali e le disuguaglianze. Attraverso la famiglia Cratchit, Dickens pone l'accento sulle difficoltà dei meno fortunati e sull'importanza della solidarietà.
Il racconto è scritto in uno stile accessibile e coinvolgente. Dickens utilizza un linguaggio ricco e descrittivo, capace di evocare emozioni intense. La struttura del racconto facilita il progresso narrativo e mantiene alta la tensione fino alla conclusione, dove avviene il ravvedimento di Scrooge.
"Canto di Natale" ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare e ha contribuito a definire le tradizioni natalizie moderne. Il racconto ha ispirato innumerevoli adattamenti teatrali, cinematografici e musicali, rendendolo una pietra miliare della letteratura.
"Canto di Natale" è molto più di una semplice storia natalizia: è un'opera letteraria profonda e toccante che invita alla riflessione sui valori fondamentali della vita. La sua capacità di emozionare e di ispirare la trasformazione personale lo rende un classico senza tempo, adatto a lettori di ogni età. È un libro che consiglio vivamente di leggere, o rileggere, non solo durante il periodo natalizio, ma ogni volta che si sente il bisogno di ricordare l'importanza della gentilezza e della generosità.
P.S. Se alla lettura del libro aggiungete anche la visione del film "La vita è meravigliosa" diretto da Frank Capra, il Natale si può dire perfetto!
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Storia Di Musica #330 - Franti, Il Giardino Delle Quindici Pietre, 1986
Nel cartone della soffitta il disco di oggi è quello più emozionante. Lo è per la rarità, per la qualità, per la storia che lo accompagna. Quando ho detto a mio papà che avevo ritrovato questo disco, sebbene con piccole macchie di umidità sulla copertina, si è emozionato un po’. Fu un regalo di una persona che lavorava alla Lega Coop in Piemonte, che volle regalargli questo disco dato che conosceva la storia di questa formazione e li andava a sentire quando suonavano nei centri sociali. La storia di questa formazione è in un modo del tutto particolare, unica e irripetibile e ha segnato una parte non così piccola del rock italiano, nonostante siano oggi, ahimè, sconosciuti. Tutto comincia a Torino, seconda metà anni ’70. Un gruppo di compagni di scuola, Stefano Giaccone al sax, Massimo D'Ambrosio al basso, Marco Ciari alla batteria e Vanni Picciuolo alla chitarra, con le incursioni vocali di Lux, cantante dei Deafear, formano un gruppo, la Guerrilla’s Band, che dopo tanta gavetta si autoproduce due singoli su cassetta, No Future e Last Blues, nel 1981. Poco dopo convincono una cantante, Marinella Ollino, in arte Lalli, a diventare la cantante del gruppo. Che ne frattempo cambia nome in Franti, dal nome del personaggio del libro Cuore di Edmondo de Amicis, sinonimo di insubordinazione. Passano dal jazz rock con evidenti omaggi e riferimenti al rock progressivo della scena di Canterbury ad un eclettico mix di jazz, rock, punk, funk che non ha paragoni. Oltretutto, si autogestiscono in tutto, dall’organizzazione alla produzione (non si iscriveranno mai alla SIAE) e fonderanno una propria etichetta discografica, la Blu Bus, con cui produrranno i lavori dei valdostani Kina e di un famoso gruppo “hardcore punk” di Torino, i Contrazione. La formazione ruota intorno a Giaccone, Picciuolo e Lalli, ma in ogni occasione suonano amici, musicisti invitati, quelli della prima ora e band di compagni che condividono gli ideali dei nostri in una sorta di collettivo musicale, tra l’ensemble e una comunità artistica. Prima prova discografica sono le 500 copie di Luna Nera, uscita solo in cassetta e poi in vinile, nel 1985, quando pubblicano Schizzi Di Sangue, sempre su musicassetta e sempre stampata in pochissime centinaia di copie, opera questa che unisce poesia e canto, altra prerogativa della band. La scena alternativa italiana, politicizzata, antagonista, desiderosa più che mai di contribuire ad una descrizione della vita vera nelle canzoni, ha un colpo fortissimo quando i CCCP passano ad una etichetta “commerciale, la Virgin. Sembra il tradimento di ogni cosa. Ma nello stesso anno arriva il disco di oggi, che nonostante il successo molto relativo, rimane un esempio formidabile di quello spirito tradito.
L’idea del titolo nasce da una leggenda del Giappone medievale secondo la quale a Kyoto, voluto da un illuminato imperatore, esista un giardino con quindici pietre, ma da qualsiasi punto lo si osserva se ne scorgono sempre e solo quattordici. Il Giardino Delle Quindici Pietre esce nel 1986 in edizione limitata a 1550 copie (che è quella che stava nella scatola). In accompagnamento, un libretto che oltre che i testi raccoglie poesie, idee politiche, spunti per le discussioni dopo i concerti, pagine di libri mai scritti, poesie, disegni. Il disco fu registrato al Dynamo Sound Studio dal febbraio al maggio 1986 tranne una traccia registrata nel febbraio 1985 al Synergy Studio. È un disco universo, fatto di passioni musicali e politiche, dove i generi, anche di arti differenti (cinema, recitazione, arte figurative) si mescolano a frammenti di punk che esplodono dopo musiche jazz, un disco che ammalia e affascina. Si apre con un testo del cantante giamaicano Linton Kwesi Johnson, che diventa Il Battito Del Cuore, un brano reggae-dub dove Lalli recita e non canta il testo e Giaccone ricama di sax. Acqua Di Luna, che è del 1985, è ipnotica. L'Uomo Sul Balcone Di Beckett è un’amarissima analisi, quasi una ode dolente, alla natura metropolitana umana, che finisce così: Perché quei fantasmi che si siedono con me a fumare sul terrazzo, che girano la chiave della mia serratura nel cuore della notte, che mi tengono la mano quando ne ho bisogno, non potrebbero esistere in nessun altro luogo. Every Time, uno spettacolare afro blues, chiude la prima facciata. Ai Negazione che apre il lato b è un frammento molto accelerato di No Future, Hollywood Army esprime la loro idea politica con un capolavoro hardcore, ma è Big Black Mothers il brano musicalmente più stimolante, riprendendo l’idea primigenia di commistione tra jazz-rock e progressive ma che alla fine, nell’intreccio delle due voci, termina nuovamente hardcore. Micrò Micrò è un omaggio Demetrio Stratos, leggendario cantante degli Area, che è poi seguita da uno strumentale, Elena 5 e 9, meraviglioso e struggente. Nel Giorno Secolo ha come testo una poesia di Mario Boi, dalla raccolta poetica Piani Di Fuga. Chiude il disco il jazz elettrico dei Joel Orchestra, band bolognese di simile fattura e amica dei nostri, con À Suivre, tra il Nino Rota felliniano e sogni simili, dove spicca il piano elettrico di un grande collaboratore dei Franti, Paolo "Plinio" Regis.
Nel 1987, viste anche le mutate condizioni politiche e sociali, il gruppo di scioglie: nel 1988 pubblicano un cofanetto antologico, che diventerà leggendario, dal titolo eloquente di Non Classificato. Seguono progetti diversi: collaborazioni, decine di progetti, tra cui ricordo che i soli Giaccone e Lalli fondarono gli Orsi Lucille e gli Howth Castle. Ma soprattutto rimangono fedeli a quell’appunto di lotta e coerenza, sintetizzato dalla frase che accompagnava il loro cofanetto antologico Non Classificato: “…la fine di una spirale ne genera un'altra, se l'aquila ha abbastanza cielo per volare. A presto, FRANTI”
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Amo i baci lenti e lunghi. Come a voler dire tutto ciò che si ha nel cuore.... ma in silenzio. Esistono molti tipi di baci : quelli di dolcezza, di passione, di lealtà, di sostegno, di curiosità, di scoperta… E poi c’è il bacio assoluto. Quello dove le labbra fanno l’amore. Dove si rovescia l’anima nella bocca dell’altro e ce la si fa restituire goccia a goccia. Il bacio profondo come l’immenso, caldo e pulsante come cuore vivo. Quel bacio che è un lancio dal trapezio a cento metri da terra, una dichiarazione d’amore, una richiesta d’aiuto, un grazie, un perdono, un canto alla vita e, allo stesso tempo, un testamento. Perché nel fondo della lingua, la vita e la morte s’annullano, per la durata di quell’istante perfetto. C.T. ----
Conservo in un cassetto l’ultimo bacio che mi hai dato. Ogni tanto lo indosso, mi guardo allo specchio e ti sorrido. Con le lacrime.
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Non saprei dire di preciso come sia successo e quando, ma per la prima volta in queste feste sento una sorta di scarto, un cambiamento che è avvenuto in sordina nella mia concezione affettiva. Mi spiego (o almeno, ci provo).
Se finora in tutti questi anni quando tornavo a Roma a Natale, dai miei, "tornavo a casa", "dalla mia famiglia", e sentivo che Matteo era in qualche modo il mio "più uno", l'invitato alla nostra tavola e nella nostra tribù, per la prima volta quest'anno in maniera forte, lampante, inattesa, mi trovo a sentirmi parte di un nuovo nucleo, una nuova famiglia che siamo io e lui (e Dakota), che viene prima. "Che viene prima" non è l'espressione corretta, perché non è un primato né temporale né di importanza (e mai lo sarà). E' piuttosto un'appartenenza spontanea e naturale, un binomio in cui "mi siedo meglio", un'intesa in cui ci capiamo al volo, anche senza fiatare; una tribù con un linguaggio proprio, e un codice suo. Sì, insomma, una famiglia. E allo stesso modo, se penso a "tornare a casa", la visione si è ormai ribaltata e non penso alle pareti della casa di Roma, dove ho vissuto così tanti ricordi e che pure oggi non dicono più nulla (o quasi) di me. Penso invece alla nostra casa, a Como, quella che abbiamo costruito insieme un pezzo alla volta, con le nostre energie, i soldi, la fatica... le avventure e soprattutto le dis-avventure che hanno cementato il nostro legame ancora di più, su un piano nuovo, diverso, più complesso e in un certo senso anche più "razionale". Forse l'aggettivo che cerco è: più maturo.
Se penso all'idea di famiglia penso a noi due, a tutte le sfide che quest'ultimo anno ci ha messo davanti, a tutti i momenti in cui avremmo potuto sgretolarci rovinosamente, e forse ci siamo andati vicini, e a tutte le volte in cui invece abbiamo scelto - insieme - di rialzarci, di impegnarci, di lavorarci. Di spendere energie, porci in ascolto, aprirci al dialogo verso l'altro.
In questo senso sento che la maturità è una medaglia a due facce, che porta con sé un significato denso, pesante, travagliato. Che il nostro amore ha perso parte della leggerezza dell'inizio, in cui tutto è "bello e semplice" e le farfalle dentro la pancia svolazzano all'impazzata e sembra quasi che anche il cielo ti sorrida benevolo, complice e guardiano propizio di questo nuovo amore. E' un lutto a cui con immensa fatica mi accosto, e che mi addolora tanto più perché sento di avvertirlo con molta più forza che non il contrario.
E poi c'è, d'altro canto, ciò che il nostro amore ha guadagnato -qualcosa di nuovo e a tratti ingombrante, che è solidità, complicità, compromesso. Radici.
Non è facile per me, con la testa sempre protesa alle nuvole, guardare in basso e scoprire che i miei piedi hanno messo radici che si intrecciano a quelle di un'altra persona. Che non posso più dire "me ne torno a Parigi", "alla mia vita prima di te". Fa un po' paura, mi dà voglia di protestare, scalpitare, reclamare a gran voce: "ma io sono libera!". Spesso e volentieri, l'ho anche fatto. Ho lottato contro questo legame ingombrante con tutta me stessa, con la paura di una bestia in gabbia. Solo per ritrovarmi a capire che quella stessa gabbia non è mai stata l'altra persona né il suo amore per me. Quella gabbia sono sempre e ancora io.
In questi giorni ti ho osservato di nascosto, o di sfuggita, mentre non mi guardavi - e mi sono accorta che ogni piccolo gesto che compi, lo fai con nel cuore noi due; le tue attenzioni, le tue premure, il tuo pensiero sempre un passo più avanti. Quest'anno ci siamo inflitti anche del dolore, a vicenda, ma da questo dolore siamo cresciuti e abbiamo trovato il modo di venirne fuori ancora una volta mano nella mano.
Ripenso spesso a un verso di Cremonini che trovo immensamente calzante:
"Anche quando poi saremo stanchi troveremo il modo per navigare nel buio"
Mi parla di noi. Mi parla del nostro amore, che non è più l'amore cieco delle prime volte, o meglio lo è ancora, in qualche parte dentro di lui, ma è diventato altro, tanto altro. E' la lanterna, il faro, il porto, la bussola. Casa e famiglia.
Lotterò sempre con i legami emotivi, e sempre mi sentirò presa in questa irrisolvibile contraddizione, in antagonismo con ciò che mi àncora, e pericolosamente spersa alla deriva da sola; la mia vita è così: in precario equilibrio su questa dicotomia inscindibile di leggerezza e pesantezza (sarebbe meglio dire gravità, nell'accezione della gravitas latina).
Ma nel mio cuore, durante quest'anno, ho maturato una consapevolezza nuova: queste radici sono forti non per schiacciarmi al suolo, e soffocarmi, al contrario: per permettermi di elevarmi ancora più alta nel cielo.
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Certo che sei...
... una Donna pesante!! Purtroppo si, sono pesante, perché pesante vuol dire che da peso ed è una cosa che si oppone a leggero meglio dire al superficiale.Io sono pesante è vero, ma in compenso so benissimo cosa sia la leggerezza la spensieratezza. È solo che amo soprattutto il peso. Amo dare peso alle cose che faccio, alle parole che dico, alle persone che incontro o che arrivano nella mia vita. Amo dare peso a tutto ciò che ricevo, nel bene e soprattutto nel male. "Alla leggera" invece prendo un'insalata, quelle poche volte che ricordo che al mondo non esistono solo i carboidrati. Alla leggera bevo un calice di prosecco, vado ad un concerto o canto mentre sono in auto. Alla leggera mi siedo in riva al mare per godermi il vento sulla faccia. Alla leggera si possono fare milioni di cose, ma che i leggeri stiano con i leggeri e i pesanti con quelli come me...
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BLACKLOTUS letto e modificato
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